"COCCOLE, NANNA E FOCACCE DI MAIS"
di Elena Carra (Giornalista e Volontaria)
Il sole era alto all'orizzonte. L'aria del deserto, calda e polverosa, rendeva difficile respirare, correre e perfino pensare.
Ma a Joachim non importava. Stava giocando con la sua palla rossa di gomma, la tirava in alto, cercando di colpire il sole lontano e infuocato, e la riprendeva al volo.
Era molto bravo per la sua età. Nessun altro bambino del villaggio riusciva a riprenderla tanto velocemente e con una mano sola, come faceva Joachim.
Spesso, quando usciva dalla sua capanna e si metteva a giocare a palla, nel bel mezzo del deserto di fuoco, gli altri bambini si radunavano intorno a lui, formando un gruppetto rumoroso, e lo osservavano a lungo.
Era difficile divertirsi e giocare, sotto quel sole. Joachim lo sapeva bene, ma quando afferrava al volo la sua palla rossa e la tirava in alto, sempre più in alto, si sentiva felice, come se intorno a lui non esistesse nient'altro.
Il cielo gli sembrava ancora più grande e più azzurro, come se si allargasse via via che aumentava la sua felicità. Le dune di sabbia, le sterpaglie e gli alberelli secchi sembravano incitarlo: "Daì, Joachim! Tira più in alto, prova a fare un buco nelle nuvole!".
Ma ogni giorno l'aria calda di mezzogiorno diventava irrespirabile, proprio nel bel mezzo del gioco, e il bambino doveva tornare nella capanna, per riposarsi e riprendere fiato. La vita era molto difficile per i nomadi del deserto, che si spostavano continuamente da un posto all'altro e dovevano adattarsi al clima, al lavoro e alla fatica. A volte, nel cuore della notte, Joachim usciva piano piano dalla capanna, senza svegliare mamma e papà, e andava a sedersi su una piccola duna di sabbia, per guardare il cielo stellato e respirare profondamente l'aria notturna.
L'aria aveva un odore diverso, di notte, e a Joachim piaceva molto. Non era calda e soffocante come di giorno, portava freschezza e profumava di cannella. Guardando le stelle Joachim si chiedeva se tutto il mondo fosse un deserto, con le dune soffici che parevano grandi cuscini mollicci, le capanne dal tetto di paglia e legno, e il sole che splendeva ogni giorno.
"Joachim, perchè sei uscito dalla capanna?" gli chiese un giorno il papà.
"Volevo guardare le stelle, papà. Mi piacciono molto e assomigliano alle focaccine di mais che prepara la mamma!".
il papà del piccolo Joachim si era messo a ridere, sentendo le parole del figlio. Ma era una risata buona, la risata di un amico, diversa dalle risate dei bambini che a volte prendevano in giro Joachim.
La vita di Joachim era semplice e serena. Si alzava presto per andare a scuola insieme agli altri bambini, in una grande capanna dal tetto verde, fatto di foglie e rami secchi, dove il maestro Jacob insegnava a leggere e a scrivere, e dove c'era profumo di spezie.
Era una scuola molto semplice, con pochi libri, qualche quaderno e una scatola di gessetti colorati. La voce del maestro era calda e avvolgente come il sole sulle dune, mentre raccontava storie di luoghi lontani, mari, pesci e isole sperdute. Dopo la scuola Joachim giocava un po' fra le dune. A volte, quando il sole non era troppo forte, tutti i bambini si prendevano per mano, si sedevano in cerchio e cantavano una canzone. Era una canzone molto antica, che parlava di popoli lontani, di amicizia e di pace. Gli anziani del villaggio la conoscevano da tantissimo tempo e i nonni di Joachim dicevano sempre che era una canzone vecchia come il mondo, che viaggiava da un paese all'altro, da un popolo all'altro, senza mai fermarsi, e ovunqueandava portava la speranza e la gioia nei cuori.
Da quando Joachim l'aveva imparata, la cantava sempre, anche dentro la capanna. La cantava ogni sera prima di addormentarsi, quando era sdraiato accanto alla mamma e al papà, e non dimenticava mai le parole.
Ogni sera, la capanna in cui viveva Joachim, che sorgeva proprio accanto a una gigantesca palma da frutta, si riempiva di risate e allegria. Joachim cantava la sua canzone e il papà suonava un piccolo flauto di legno, da cui uscivano musiche sempre diverse. Non c'era molto, nella capanna. Giusto un grande letto morbido per dormire, un tavolo di legno per il pranzo e la cena di tutti i giorni, e qualche libro. Ma c'era tanta felicità nel cuore di Joachim, della mamma e del papà, mentre cenavano tutti e tre insieme. Ogni sera a cena c'erano frutta e riso al latte, e al centro della tavola c'era sempre un grande piatto colorato , colmo di focacce di mais che preparava la mamma. A Joachim le focacce di mais piacevano tantissimo! Erano soffici e saporite, un po' dolci e un po' salate ed erano sempre belle spesse e rotonde, proprio come la sua adorata mamma!
Dopo cena, la mamma di Joachim prendeva un libro e leggeva una breve favola ad alta voce, poi sorrideva e diceva sempre la stessa frase: "Adesso è ora di della nanna!".
Joachim si sentiva al sicuro e protetto, come se quelle poche e semplici parole, ripetute ogni sera con voce gentile, avvolgessero la capanna con tanti fili di lana colorata, e gli facessero da coperta e da cuscino. E anche se sapeva che un giorno sarebbe diventato grande, a Joachim piaceva molto sentirsi piccolo ancora per un po', amato e coccolato. Era sicuro che anche le stelle lontane e tremolanti, che brillavano ogni notte nella quiete misteriosa del deserto, dovessero sentirsi proprio così, piccolissime e coccolate con amore da una grande mamma luna, rotonda e paffutella. E questo pensiero lo divertiva ogni sera, poco prima di sprofondare nel sonno, e rendeva i suoi sogni di bambino più dolci e sereni.
Un giorno, quando il sole del deserto era alto nel cielo e bruciava gli occhi, al villaggio arrivò la guerra. Era come un'onda impazzita e selvaggia, che veniva da molto lontano, per distruggere e portare odio. Joachim non conosceva la guerra, ma si sentiva tutto scombussolato dentro, e il cuore gli diceva che non sarebbe successo nulla di buono.
Presto, troppo presto, grida impaurite corsero per il deserto, mentre grossi polveroni di sabbia si sollevavano, stringevano i polmoni in una morsa e toglievano il respiro.
"Coraggio bambini! Correte a nascondervi!" gridava il maestro Jacob, mentre i signori della guerra appiccavano selvaggiamente il fuoco alla scuola. I bambini corsero da tutte le parti, come barchette colorate mosse dal vento, a destra e a sinistra, correndo a rifugiarsi tra le braccia dei nonni, dei papà e delle mamme. Gli occhi di Joachim pizzicavano per la sabbia e gli facevano un gran male, non ci vedeva quasi più e il cuore gli martellava all'impazzata nel petto. Nelle orecchie gli risuonavano le risate del papà e le favole della mamma, gli sembrava che fossero proprio accanto a lui, e gli sembrava quasi di sentire una voce amorevole dirgli che era ora di andare a nanna.
Alte fiamme si levavano dalla scuola e Joachim si sentiva prigioniero. Si raggomitolò in un angolo e si strinse forte le gambe al petto, premendo la testa sulle ginocchia. Tutt'intorno a lui le fiamme crepitavano e urlavano, e il fumo nerastro e irrespirabile dell'incendio lo avvolgeva tutto, simile a un grosso serpente nero sibilante. All'improvviso Joachim udì un suono. Veniva da lontano ma gli accarezzava le orecchie e calmava il suo cuore. Era dolce come la musica che suonava il papà con il flauto di legno, sembrava contenere molte voci insieme e diventare sempre più sempre più forte. Joachim si alzò e cercò lentamente di aprire gli occhi e guardare oltre il fumo e le fiamme. Poi capì. Era una canzone, la sua canzone. Parlava di pace e amicizia, di cieli azzurri e puliti, di speranza infinita e serenità, quella serenità di cui hanno diritto tutti i bambini, in ogni parte del mondo.
Gli sembrò che la canzone parlasse proprio a lui, e che gli raccontasse cose che già conosceva e amava... i giochi con la palla, le focacce della mamma, i libri del papà, le stelle tremolanti e luccicanti nel cuore della notte. Joachim ne era sicuro: quella musica era per lui, soltanto per lui.
Il coraggio inondò il suo piccolo cuore, tanto che non ci fu più posto per la paura e le lacrime. Gli occhi gli bruciavano ancora ma gli sembrò si scorgere la sua capanna accanto alla grande palma, oltre le fiamme, e si lasciò guidare dalla canzone, che lo portò in salvo.
Sentì l'abbraccio forte della mamma e la voce amorevole del papà che lo afferravano, e lo portavano fuori dalla scuola ormai distrutta, verso le dune tranquille. E di colpo tutto fu silenzioso, ovattato, fermo.
Così com'erano arrivati, i signori della guerra sparirono nel nulla, inghiottiti dal deserto. E non tornarono più. Gli anziani del villaggio dissero che forse il vento li aveva spazzati via, insieme alla loro malvagità e durezza, o magari i raggi infuocati del sole di mezzogiorno li avevano li avevano bruciati e ridotti in sabbia finissima.
A Joachim non importava. Stretto fra le braccia di mamma e papà, non aveva più paura, e il cuore era finalmente calmo, il respiro lento e regolare. Sul faccino nero di fumo splendeva intatto un purissimo sorriso, che nessuna guerra avrebbe potuto cancellare.
Joachim era certo che i signori della guerra non sarebbero mai più tornati. Così come era certo che la canzone che aveva udito tra le fiamme e che lo aveva salvato, era volata via lontano, verso altro villaggi e altri bambini. Per infondere coraggio, amore e fiducia nei loro cuori. Volando da tutti coloro che avevano bisogno di pace e speranza.
di Elena Carra (Giornalista e Volontaria)
Il sole era alto all'orizzonte. L'aria del deserto, calda e polverosa, rendeva difficile respirare, correre e perfino pensare.
Ma a Joachim non importava. Stava giocando con la sua palla rossa di gomma, la tirava in alto, cercando di colpire il sole lontano e infuocato, e la riprendeva al volo.
Era molto bravo per la sua età. Nessun altro bambino del villaggio riusciva a riprenderla tanto velocemente e con una mano sola, come faceva Joachim.
Spesso, quando usciva dalla sua capanna e si metteva a giocare a palla, nel bel mezzo del deserto di fuoco, gli altri bambini si radunavano intorno a lui, formando un gruppetto rumoroso, e lo osservavano a lungo.
Era difficile divertirsi e giocare, sotto quel sole. Joachim lo sapeva bene, ma quando afferrava al volo la sua palla rossa e la tirava in alto, sempre più in alto, si sentiva felice, come se intorno a lui non esistesse nient'altro.
Il cielo gli sembrava ancora più grande e più azzurro, come se si allargasse via via che aumentava la sua felicità. Le dune di sabbia, le sterpaglie e gli alberelli secchi sembravano incitarlo: "Daì, Joachim! Tira più in alto, prova a fare un buco nelle nuvole!".
Ma ogni giorno l'aria calda di mezzogiorno diventava irrespirabile, proprio nel bel mezzo del gioco, e il bambino doveva tornare nella capanna, per riposarsi e riprendere fiato. La vita era molto difficile per i nomadi del deserto, che si spostavano continuamente da un posto all'altro e dovevano adattarsi al clima, al lavoro e alla fatica. A volte, nel cuore della notte, Joachim usciva piano piano dalla capanna, senza svegliare mamma e papà, e andava a sedersi su una piccola duna di sabbia, per guardare il cielo stellato e respirare profondamente l'aria notturna.
L'aria aveva un odore diverso, di notte, e a Joachim piaceva molto. Non era calda e soffocante come di giorno, portava freschezza e profumava di cannella. Guardando le stelle Joachim si chiedeva se tutto il mondo fosse un deserto, con le dune soffici che parevano grandi cuscini mollicci, le capanne dal tetto di paglia e legno, e il sole che splendeva ogni giorno.
"Joachim, perchè sei uscito dalla capanna?" gli chiese un giorno il papà.
"Volevo guardare le stelle, papà. Mi piacciono molto e assomigliano alle focaccine di mais che prepara la mamma!".
il papà del piccolo Joachim si era messo a ridere, sentendo le parole del figlio. Ma era una risata buona, la risata di un amico, diversa dalle risate dei bambini che a volte prendevano in giro Joachim.
La vita di Joachim era semplice e serena. Si alzava presto per andare a scuola insieme agli altri bambini, in una grande capanna dal tetto verde, fatto di foglie e rami secchi, dove il maestro Jacob insegnava a leggere e a scrivere, e dove c'era profumo di spezie.
Era una scuola molto semplice, con pochi libri, qualche quaderno e una scatola di gessetti colorati. La voce del maestro era calda e avvolgente come il sole sulle dune, mentre raccontava storie di luoghi lontani, mari, pesci e isole sperdute. Dopo la scuola Joachim giocava un po' fra le dune. A volte, quando il sole non era troppo forte, tutti i bambini si prendevano per mano, si sedevano in cerchio e cantavano una canzone. Era una canzone molto antica, che parlava di popoli lontani, di amicizia e di pace. Gli anziani del villaggio la conoscevano da tantissimo tempo e i nonni di Joachim dicevano sempre che era una canzone vecchia come il mondo, che viaggiava da un paese all'altro, da un popolo all'altro, senza mai fermarsi, e ovunqueandava portava la speranza e la gioia nei cuori.
Da quando Joachim l'aveva imparata, la cantava sempre, anche dentro la capanna. La cantava ogni sera prima di addormentarsi, quando era sdraiato accanto alla mamma e al papà, e non dimenticava mai le parole.
Ogni sera, la capanna in cui viveva Joachim, che sorgeva proprio accanto a una gigantesca palma da frutta, si riempiva di risate e allegria. Joachim cantava la sua canzone e il papà suonava un piccolo flauto di legno, da cui uscivano musiche sempre diverse. Non c'era molto, nella capanna. Giusto un grande letto morbido per dormire, un tavolo di legno per il pranzo e la cena di tutti i giorni, e qualche libro. Ma c'era tanta felicità nel cuore di Joachim, della mamma e del papà, mentre cenavano tutti e tre insieme. Ogni sera a cena c'erano frutta e riso al latte, e al centro della tavola c'era sempre un grande piatto colorato , colmo di focacce di mais che preparava la mamma. A Joachim le focacce di mais piacevano tantissimo! Erano soffici e saporite, un po' dolci e un po' salate ed erano sempre belle spesse e rotonde, proprio come la sua adorata mamma!
Dopo cena, la mamma di Joachim prendeva un libro e leggeva una breve favola ad alta voce, poi sorrideva e diceva sempre la stessa frase: "Adesso è ora di della nanna!".
Joachim si sentiva al sicuro e protetto, come se quelle poche e semplici parole, ripetute ogni sera con voce gentile, avvolgessero la capanna con tanti fili di lana colorata, e gli facessero da coperta e da cuscino. E anche se sapeva che un giorno sarebbe diventato grande, a Joachim piaceva molto sentirsi piccolo ancora per un po', amato e coccolato. Era sicuro che anche le stelle lontane e tremolanti, che brillavano ogni notte nella quiete misteriosa del deserto, dovessero sentirsi proprio così, piccolissime e coccolate con amore da una grande mamma luna, rotonda e paffutella. E questo pensiero lo divertiva ogni sera, poco prima di sprofondare nel sonno, e rendeva i suoi sogni di bambino più dolci e sereni.
Un giorno, quando il sole del deserto era alto nel cielo e bruciava gli occhi, al villaggio arrivò la guerra. Era come un'onda impazzita e selvaggia, che veniva da molto lontano, per distruggere e portare odio. Joachim non conosceva la guerra, ma si sentiva tutto scombussolato dentro, e il cuore gli diceva che non sarebbe successo nulla di buono.
Presto, troppo presto, grida impaurite corsero per il deserto, mentre grossi polveroni di sabbia si sollevavano, stringevano i polmoni in una morsa e toglievano il respiro.
"Coraggio bambini! Correte a nascondervi!" gridava il maestro Jacob, mentre i signori della guerra appiccavano selvaggiamente il fuoco alla scuola. I bambini corsero da tutte le parti, come barchette colorate mosse dal vento, a destra e a sinistra, correndo a rifugiarsi tra le braccia dei nonni, dei papà e delle mamme. Gli occhi di Joachim pizzicavano per la sabbia e gli facevano un gran male, non ci vedeva quasi più e il cuore gli martellava all'impazzata nel petto. Nelle orecchie gli risuonavano le risate del papà e le favole della mamma, gli sembrava che fossero proprio accanto a lui, e gli sembrava quasi di sentire una voce amorevole dirgli che era ora di andare a nanna.
Alte fiamme si levavano dalla scuola e Joachim si sentiva prigioniero. Si raggomitolò in un angolo e si strinse forte le gambe al petto, premendo la testa sulle ginocchia. Tutt'intorno a lui le fiamme crepitavano e urlavano, e il fumo nerastro e irrespirabile dell'incendio lo avvolgeva tutto, simile a un grosso serpente nero sibilante. All'improvviso Joachim udì un suono. Veniva da lontano ma gli accarezzava le orecchie e calmava il suo cuore. Era dolce come la musica che suonava il papà con il flauto di legno, sembrava contenere molte voci insieme e diventare sempre più sempre più forte. Joachim si alzò e cercò lentamente di aprire gli occhi e guardare oltre il fumo e le fiamme. Poi capì. Era una canzone, la sua canzone. Parlava di pace e amicizia, di cieli azzurri e puliti, di speranza infinita e serenità, quella serenità di cui hanno diritto tutti i bambini, in ogni parte del mondo.
Gli sembrò che la canzone parlasse proprio a lui, e che gli raccontasse cose che già conosceva e amava... i giochi con la palla, le focacce della mamma, i libri del papà, le stelle tremolanti e luccicanti nel cuore della notte. Joachim ne era sicuro: quella musica era per lui, soltanto per lui.
Il coraggio inondò il suo piccolo cuore, tanto che non ci fu più posto per la paura e le lacrime. Gli occhi gli bruciavano ancora ma gli sembrò si scorgere la sua capanna accanto alla grande palma, oltre le fiamme, e si lasciò guidare dalla canzone, che lo portò in salvo.
Sentì l'abbraccio forte della mamma e la voce amorevole del papà che lo afferravano, e lo portavano fuori dalla scuola ormai distrutta, verso le dune tranquille. E di colpo tutto fu silenzioso, ovattato, fermo.
Così com'erano arrivati, i signori della guerra sparirono nel nulla, inghiottiti dal deserto. E non tornarono più. Gli anziani del villaggio dissero che forse il vento li aveva spazzati via, insieme alla loro malvagità e durezza, o magari i raggi infuocati del sole di mezzogiorno li avevano li avevano bruciati e ridotti in sabbia finissima.
A Joachim non importava. Stretto fra le braccia di mamma e papà, non aveva più paura, e il cuore era finalmente calmo, il respiro lento e regolare. Sul faccino nero di fumo splendeva intatto un purissimo sorriso, che nessuna guerra avrebbe potuto cancellare.
Joachim era certo che i signori della guerra non sarebbero mai più tornati. Così come era certo che la canzone che aveva udito tra le fiamme e che lo aveva salvato, era volata via lontano, verso altro villaggi e altri bambini. Per infondere coraggio, amore e fiducia nei loro cuori. Volando da tutti coloro che avevano bisogno di pace e speranza.